BASILICA E CONVENTO DEL SANTO
DESCRIZIONE DEI CICLI DI AFFRESCHI
Nella Basilica e nel convento di Sant’Antonio si conservano le prime testimonianze della presenza di Giotto a Padova – attivo probabilmente prima nella Cappella della Madonna Mora, poi nella Cappella delle Benedizioni e nella Sala del Capitolo – eseguite in un periodo intorno al 1302-1303, prima della decorazione nella Cappella degli Scrovegni.
Per questo motivo nell’ambito della serie rappresenta dal punto di vista cronologico l’inizio dell’attività di Giotto a Padova. Nella decorazione del convento si può cogliere come il maestro fiorentino avesse già posto le basi sulla prospettiva e nella resa degli spazi che esprimerà compiutamente poco dopo nella Cappella degli Scrovegni.
Nella Basilica sono presenti i maggiori protagonisti della storia dell’affresco padovano del Trecento: Giotto, Giusto de’ Menabuoi, Altichiero da Zevio, Jacopo Avanzi e Jacopo da Verona e quindi conserva anche la storia della loro committenza padovana.
Una recentissima attribuzione a Giotto probabilmente testimonia il primo intervento del maestro in Basilica, nel luogo della prima sepoltura di Sant’Antonio, la Cappella della Madonna Mora.
Si tratta della decorazione dipinta dietro al gruppo scultoreo della Vergine col Bambino all’interno della nicchia dell’altare che nasce in stretto rapporto con lo spazio architettonico per la quale è progettata.
Nei volti dei profeti in particolare, ma anche nella posa delle figure degli angeli che reggono la corona e nello studio degli scorci prospettici delle figure degli angeli in volo e dell’Eterno si ritrovano i diretti precedenti delle ricerche prospettiche e sugli stati d’animo dell’uomo che Giotto compirà poco dopo nella Cappella degli Scrovegni.
Proseguendo negli spazi del convento, nell’antica Sala del Capitolo si conserva un ciclo di affreschi che, per quanto lacunoso, si impone tra le opere più significative prodotte a Padova nel primo Trecento. Lo spazio presenta oggi porzioni di affreschi che un tempo avvolgevano completamente tutte le pareti secondo un programma iconografico unitario nei contenuti con le Storie di San Francesco. Una grande capacità nella resa illusionistica consente di organizzare sulle due pareti una veduta prospettica unificata; in basso specchiature marmoree, su cui poggiano archi scanditi da due ordini di pilastri e chiusi in alto da un architrave con mensole sporgenti, che probabilmente simulavano di sostenere il reale soffitto ligneo. Nonostante le ridipinture, i dettagli mostrano la raffinatezza delle invenzioni prospettiche e degli elementi decorativi di un gusto classicheggiante – girali e motivi vegetali all’antica in finto rilievo – totalmente estranei alla cultura pittorica di Padova degli inizi del Trecento e confrontabile solo con analoghe invenzioni nella Cappella degli Scrovegni.
I cartigli esibiti riportano citazioni di testi sacri che si riferiscono a un unico tema: il sacrificio di Cristo sulla croce. Tra i personaggi è inserita anche una singolare figura, un cadavere in disfacimento reso con grande realismo anatomico, un’allegoria della Morte, posta a fianco di Sant’Antonio, con il quale intreccia un muto dialogo e segno di quel realismo che Giotto porterà a compimento nelle opere successive. È ancora possibile cogliere lo straordinario realismo e la drammaticità anche negli altri riquadri, così come si può intuire la grande sapienza prospettica nei lacerti con un interno architettonico ampiamente attestata nella Cappella degli Scrovegni.
Queste innovative storie proponevano un parallelismo stretto tra il fondatore dell’Ordine e Sant’Antonio, in particolare nella scelta radicale di imitazione di Cristo fino al martirio di sé, secondo uno schema di corrispondenze ripreso in seguito da Giotto.
Affiancato alla Sala del Capitolo del complesso di Sant’Antonio, l’andito che collega il chiostro della Magnolia a quello del Noviziato ospita sulle pareti altri due brani di affreschi ascrivibili alla mano di Giotto e della sua bottega con rappresentati il Lignum Vitae Christi e il Lignum Vitae Sancti Francisci.
Nella Basilica del Santo, la Cappella delle Benedizioni, la prima a destra del coro, presenta altre preziose tracce di un ciclo pittorico trecentesco attribuito a Giotto. La Cappella doveva allora essere interamente affrescata, ma le manomissioni patite durante gli interventi del 1727 hanno portato al rifacimento di gran parte della superficie pittorica originale.
Ciò che oggi meglio si conserva è la fascia decorativa del sottarco con busti di sante entro cornici geometriche all’ingresso della Cappella: degli otto medaglioni solo il primo a sinistra risulta ridipinto.
Le cornici che ospitano i busti femminili si presentano prospetticamente delineate e decorate con esili tralci floreali. Le figure delle sante, non precisamente identificabili, stagliate su fondali azzurri, esprimono una salda e monumentale volumetria. I panneggi sono morbidi, non profondi e contribuiscono ad aumentare la solidità delle figure, sottolineata anche dalla netta profilatura del contorno.
La datazione degli affreschi, come suggerisce la tipologia delle cornici che compaiono anche nelle fasce decorative della Cappella degli Scrovegni (componente 1), deve riferirsi a un periodo a ridosso della decorazione di quest’ultima, quindi fra il 1303 e il 1305. Tale vicinanza è riscontrabile anche grazie al confronto con i busti dei profeti nei tondi della cappella dell’Arena, dove simili sono il trattamento del panneggio e l’impostazione formale monumentale, oltre che nella vicinanza con alcuni volti di personaggi delle scene cristologiche.
La presenza di opere ad affresco degli altri protagonisti della grande stagione pittorica del Trecento padovano attivi nella Basilica del Santo, si ritrova nella Cappella di San Giacomo, che si apre sulla navata destra, e che conserva uno straordinario ciclo realizzato da Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi sull’intera superficie interna.
Nell’ambito della serie è importante sottolineare come la novità giottesca venga riletta nella Cappella di San Giacomo da Altichiero da Zevio approfondendone l’aspetto illusionistico nella resa dello spazio, concependo però ambienti complessi e verosimili dove architetture dipinte e reali interagiscono per la prima volta. La sua ricerca va letta in stretto rapporto con gli studi di ottica e fisica portati avanti in quel periodo dallo studium patavinii.
Gli affreschi mostrano la maturità pittorica raggiunta da Altichiero da Zevio, in grado di gestire scene estremamente concitate e di giocare abilmente con l’architettura della Cappella per creare spazi illusori Significativa in tale senso, nel registro inferiore della parete di fondo, la grandiosa Crocifissione divisa da colonne reali che aprono tre arcate sullo spazio dipinto, a sinistra Gerusalemme, al centro il crocifisso e sulla destra un secondo castello. È la prima volta che viene impiegata una soluzione di illusionismo tanto ardita da andare con la pittura oltre lo spazio reale dell’architettura.
L’Arrivo del corpo di San Giacomo al castello della regina Lupa in Spagna è una scena dai tratti favolistici ambientata davanti al castello della regina Lupa, leggendaria antenata della famiglia dei committenti, ove il corpo del santo sarebbe giunto su una navicella portata da un angelo: qui risulta chiara quella attualizzazione della storia sacra che diviene pretesto per illustrare le nobili origini della famiglia Lupi e celebrarla. Questo aspetto è di grande rilievo nella rappresentazione storica del Concilio di Carlo Magno, nella quale vengono inseriti ritratti realistici delle più importanti personalità legate alla Corte Carrarese, tra le quali Francesco Petrarca, Lombardo della Seta, lo stesso Bonifacio Lupi e Francesco da Carrara, mentre Carlo Magno è ritratto con le sembianza dell’imperatore Luigi d’Ungheria, alleato dei Signori di Padova. L’immagine diviene quindi un chiaro manifesto politico di elogio della Signoria e della famiglia Lupi.
Nelle pareti Altichiero da Zevio raffigura episodi concatenati che si susseguono senza soluzione di continuità, in particolare nelle scene raffigurate nelle pareti maggiori.
L’aspetto narrativo viene invece approfondito maggiormente da Jacopo Avanzi che popola le proprie scene di personaggi ben delineati e caratterizzati nei volti e nei gesti, segno di quella continuità nell’indagine sull’uomo che sempre da Giotto aveva preso avvio.
Va precisato come la collaborazione tra Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzi in passato molto discussa tra gli studiosi data la coerenza dell’insieme, sia stata ora ben precisata.
La narrazione parte dalle lunette del registro superiore e illustra alla Vita e ai miracoli di San Giacomo. La scelta di dedicare la Cappella a questo santo è stata molto probabilmente del committente Bonifacio Lupi, in quanto membro della confraternita omonima, un ordine religioso-cavalleresco fondato in Spagna nel 1175, e tra i santi protettori della Signoria Carrarese.
Nella navata sinistra, con accesso dalla Cappella della Madonna Mora, si apre la Cappella del Beato Luca Belludi (o Cappella dei Santi Filippo e Giacomo o Conti) commissionata dalla famiglia Conti a uno dei massimi pittori presenti allora sulla scena padovana, Giusto de’ Menabuoi, che già aveva affrescato pochi anni prima il Battistero della Cattedrale (componente 2).
L’ambiente interno si articola in due zone: la prima, corrispondente all’aula riservata ai fedeli, ospita gli episodi della Vita dei Santi Filippo e Giacomo Minore; l’abside invece ospita le raffigurazioni di Cristo Pantocratore, La Vergine in trono e santi francescani che intercedono per i committenti. Giusto dipinge un numero più contenuto di scene, rispetto a quanto fa nel Battistero, e il dilatarsi di queste permette una più salda impostazione spaziale: le architetture e i paesaggi, da semplici elementi di sfondo, divengono protagonisti della composizione.
Per conferire unità al messaggio, l’artista fa riferimento al Vangelo di Matteo e nei quaranta ritratti della Genealogia di Cristo che si spiegano lungo i sottarchi compendia tutto l’Antico Testamento. Il succedersi dei personaggi è sfruttato per inserire ritratti delle personalità padovane più illustri, come già aveva fatto nel Battistero, ma anche la folla di quel tempo.
Anche nella Cappella del Beato Luca Belludi si può leggere quella attualizzazione degli episodi evangelici e della vita dei santi che inserisce la celebrazione delle famiglie dei committenti e il mondo contemporaneo tutto nella Storia della Salvezza.
In generale, l’intero complesso decorativo parietale della Basilica, dal punto di vista storico artistico, ma anche religioso e devozionale non può non essere considerato fondamentale anche per quanto riguarda la tradizione della tecnica pittorica dell’affresco.
La Basilica e il convento offrono la possibilità di ammirare opere realizzate ad affresco dal Trecento fino al Novecento (la Cappella absidale di Santo Stefano viene affrescata nel 1909 dal pittore romano Ludovico Seitz), una sorta di manuale tangibile non solo della storia dell’arte, ma anche della storia di questa specifica tecnica artistica.