CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI
DESCRIZIONE DEL CICLO DI AFFRESCHI
La Cappella degli Scrovegni è il capolavoro ad affresco di Giotto meglio conservato al mondo e la massima espressione del suo genio creativo che in nessun altro luogo genererà un’opera d’arte di così alto pregio.
Nell’ambito della serie la Cappella degli Scrovegni costituisce il modello per eccellenza per quanto riguarda l’innovazione della ricerca spaziale, con le prime rivoluzionarie rappresentazioni di tipo prospettico, nella resa degli stati d’animo dell’uomo, la tecnica dell’affresco e l’unico esempio di committenza borghese, privata e laica.
Il ciclo pittorico, completato da Giotto nei primi mesi del 1306, si dispiega sull’intera superficie interna della Cappella e si compone di 39 episodi della Vita di Maria e della Vita di Cristo affrescati lungo le navate e sull’arco trionfale, 14 figure con i Vizi e le Virtù nello zoccolo nella fascia inferiore delle navate, due coretti ai lati dell’arco trionfale e il maestoso Giudizio Universale sulla controfacciata.
La decorazione prosegue sulla volta dove è dipinto il cielo stellato scandito da tre fasce decorative con 10 tondi figurati grandi e piccoli.
L’innovazione della ricerca spaziale compiuta da Giotto si coglie pienamente nella narrazione vera e propria che si sviluppa lungo le pareti dove gli episodi vengono inseriti all’interno di una struttura architettonica dipinta.
La composizione si articola infatti su tre registri: la lettura degli episodi inizia nell’angolo sud-est e procede con andamento elicoidale comprendendo anche l’arco trionfale (come suggerisce la sequenza numerica della legenda dello schema del ciclo pittorico). In basso, lo zoccolo dipinto a monocromo, è a sua volta suddiviso in riquadri, con un percorso narrativo ulteriore che porta il fedele (sia fisicamente che spiritualmente) davanti al Giudizio Universale raffigurato in controfacciata: seguendo le Virtù giunge al Paradiso, in basso a sinistra, mentre seguendo i Vizi all’Inferno, dipinto in basso a destra.
La scena del Giudizio Universale, pur non presentando suddivisioni architettoniche come le altre pareti, risulta comunque sempre organizzata geometricamente nella definizione dello spazio.
Sulla parete opposta, ai lati dell’arco trionfale, Giotto crea due finti spazi architettonici che costituiscono una novità assoluta, mai dipinta in precedenza, i cosiddetti coretti. Si tratta di due stanze vuote senza figure, coperte da volte a crocera, che consentono al maestro di dimostrare la propria abilità nella resa dello spazio, una “prospettiva” per certi versi ancora empirica e intuitiva, che l’artista concepisce pienamente solo a Padova, la stessa spazialità che si ritrova nella resa degli edifici dipinti in numerosi episodi.
Per la prima volta a Padova l’artista fiorentino organizza lo spazio prospettico secondo una griglia architettonica razionalmente concepita che definisce e lega gli episodi creando un racconto consequenziale e corrispondenze parallele tra le scene della Vita di Maria e della Vita di Cristo dipinte sulle pareti opposte della navata.
Un altro elemento importante nella descrizione del ciclo pittorico è certamente la scelta effettuata dall’artista nell’uso del colore: prediligendo le tinte pastello, più luminose e chiare, Giotto riesce a realizzare dolci passaggi cromatici in grado di generare effetti di luce naturale molto efficaci; le stesse ombre non vengono rese con macchie scure, ma semplicemente modulando il tono del colore.
Il ciclo affrescato nella Cappella degli Scrovegni è l’esempio nuovo di una committenza, borghese, privata e laica, che assume per la prima volta un ruolo da protagonista: il banchiere Enrico Scrovegni è raffigurato nel Giudizio Universale, sotto la figura di Cristo e ai piedi della croce, inginocchiato in atto di devozione davanti alla Madonna mentre presenta il modello della Cappella. Assolutamente innovativa è la scelta di farsi rappresentare nel Paradiso, della stessa scala e quindi grandezza della Madonna e degli altri Beati, assumendo in tal modo un ruolo centrale nella rappresentazione pittorica e non marginale come avveniva in passato. Il significato, tuttavia, andava ben oltre quello puramente narrativo; la stessa rappresentazione nel Paradiso del committente, Enrico Scrovegni, è indicativa di come egli volesse presentarsi quale persona giusta, capace di reggere le sorti della città. Completa e rafforza questa idea di nuova committenza l’ulteriore doppia rappresentazione scultorea della sua persona all’interno della Cappella degli Scrovegni: in una statua in preghiera e nella figura giacente del proprio monumento funebre, databili tra il 1320 e il 1336, attribuite rispettivamente allo scultore Marco Romano e al Maestro del monumento di Castellano Salomone – mentre Giovanni Pisano esegue e firma le statue dell’altare della Cappella entro il 1305 – e ancora oggi qui conservati. La Cappella degli Scrovegni costituisce anche uno straordinario esempio di realismo e di resa degli stati d’animo dell’uomo per la prima volta così eccezionalmente restituiti in una rappresentazione pittorica.
Nel Giudizio Universale vivissimo è il realismo con cui sono raffigurati i dannati, torturati crudelmente dai diavoli, secondo un programma iconografico pensato per lasciare il segno nella mente del fedele esortato a seguire la retta via. Tale aspetto della rappresentazione continua negli episodi della narrazione che si svolgono lungo le pareti in cui emergono con intensità le emozioni umane (ne è esempio straordinario La strage degli innocenti).
Questa caratteristica di Giotto sarà citata a modello già dai contemporanei, come Pietro d’Abano, il medico, filosofo e studioso degli astri, insegnante all’Università di Padova nel 1306 che ispirò il programma iconografico del ciclo astrologico affrescato da Giotto stesso in Palazzo della Ragione (componente 2). La resa delle emozioni umane si intreccia con una formidabile attenzione nei confronti della vita quotidiana che permette all’artista di descrivere con realismo anche oggetti, tessuti e animali che ci restituiscono un’idea fedele di come doveva svolgersi la vita degli uomini nel Trecento.
Ciò permette a Giotto di calare i personaggi, anche quelli sacri, nel mondo reale e per questo gli studiosi gli attribuiscono l’inizio di un percorso di attualizzazione e “laicizzazione” della storia sacra che raggiungerà il suo pieno sviluppo negli altri cicli pittorici padovani del XIV secolo e culmina, in particolare ivi quelli dell’Oratorio di San Michele.
Nel presbiterio della Cappella degli Scrovegni si trovano anche due rappresentazioni della Madonna del Latte ad affresco, assegnabili a Giusto de’ Menabuoi, uno dei protagonisti dei cicli ad affresco del progetto di candidatura (componenti 2-3).
La decorazione a monocromo dello zoccolo a finto marmo rappresenta infine la migliore esemplificazione della tecnica pittorica utilizzata da Giotto per la realizzazione degli affreschi: si tratta di un’elaborazione dell’antica tecnica della pittura murale illustrata da Vitruvio nel VII libro del De Architectura, esempio del rinnovamento tecnico della tradizione antica dell’affresco da parte di Giotto ripreso e rielaborato dagli altri artisti presenti in città.