ORATORIO DI SAN MICHELE
DESCRIZIONE DEL CICLO DI AFFRESCHI
Il ciclo d’affreschi per l’Oratorio di San Michele viene commissionato a Jacopo da Verona, un pittore che giunge a Padova probabilmente al seguito di Altichiero da Zevio con il quale collabora alla decorazione dell’Oratorio di San Giorgio. L’Oratorio di San Michele presenta al suo interno un ciclo affrescato con le storie della Vita della Vergine articolato in cinque episodi disposti in senso antiorario.
All’ambito del ciclo l’Oratorio di San Michele rappresenta l’ultimo brano della storia della pittura ad affresco nella Padova di fine Trecento dove si portano a compimento tutte le novità introdotte da Giotto: la tecnica dell’affresco, che si affina e definisce, la ricerca spaziale e “prospettica” che giunge all’illusionismo architettonico, la resa degli stati d’animo dell’uomo, il gusto per la narrazione che fluisce nello scorrere degli episodi e l’attualizzazione e laicizzazione della storia sacra che, oltre a inserire personalità illustri nelle storie bibliche o nelle vite dei santi, arriva a sostituire con i committenti e i loro famigliari, i personaggi della storia sacra. Grazie alle particolari doti di ritrattista di Jacopo da Verona si sono quindi potuti identificare i personaggi del corteo nell’Adorazione dei Magi: in passato si era pensato a Francesco I da Carrara per la figura vestita di rosso, con la lunga barba scura e un copricapo a colbacco sulla testa, e a Francesco Novello da Carrara per l’uomo alle sue spalle con il cappuccio rosso sul capo; di recente, riprendendo in parte l’interpretazione già delle guide settecentesche, le identificazioni sono state invertite. In tal modo Francesco II si presenta al Bambino Gesù con sembianze terrene in quanto ancora in vita, mentre il padre, morto quattro anni prima, apre il corteo dei defunti della dinastia Carrarese. Questa interpretazione sembrerebbe confermata anche dal confronto con le raffigurazioni dei due signori rappresentati da nel Consiglio del Re da Altichiero da Zevio nella Cappella di San Giacomo alla Basilica del Santo da Padova. Anche per le figure di profilo che assistono ai Funerali della Vergine si è ipotizzato possa trattarsi dei membri della famiglia de Bovi.
Il linguaggio di Jacopo da Verona si contraddistingue per una certa originalità. Egli dimostra di aver saputo rielaborare autonomamente i modi dei principali esponenti trecenteschi della pittura padovana: Giotto, Altichiero, Giusto de’ Menabuoi e Jacopo Avanzi. La sua attenzione si concentra sia nella cura dei dettagli naturalistici e ritrattistici – si vedano i particolari con gli animali nell’Annunciazione e il paesaggio nell’Adorazione dei Magi. Jacopo da Verona riesce inoltre a creare un’atmosfera rarefatta attraverso l’articolazione degli ambienti interni e gli atteggiamenti delle figure i cui gesti appaiono spontanei seppur raffinati e pacati. Il nuovo linguaggio di cui si fa portavoce è intriso di intensa sacralità anche se non mancano riferimenti alla vita quotidiana e ritratti dei personaggi politici dell’epoca.
Jacopo da Verona segue il medesimo intento narrativo di Giotto con lo sviluppo del racconto per scene all’interno di cornici dipinte, ma che nell’organizzazione della narrazione guarda alla modalità utilizzata da Altichiero da Zevio, nella Cappella di San Giacomo nella Basilica del Santo: organizza la successione degli eventi in scene poste su diagonali opposte, rispetto alla semplice corrispondenza di giottesca memoria; inoltre l’artista sceglie di superare la ricerca di concreto realismo di Giotto nella Cappella degli Scrovegni per creare un ambiente dove si respiri un’atmosfera cortese pur con la rappresentazione dei piccoli accadimenti della vita contemporanea. Rispetto alla tecnica dell’affresco, muovendo sempre dalla lezione giottesca, Jacopo da Verona approfondisce lo studio dell’interazione dei colori fra loro, in particolare il cangiantismo e la resa dei volumi.